lunedì 1 luglio 2013

GUTTA CAVAT LAPIDEM

Per un dilettante allo sbaraglio come me, che non posso vantare di essere stato allevato a sport, alcuni dei "trucchi del mestiere" me li sono dovuti imparare da solo, un pò come se oggigiorno da qualche parte nel mondo nascesse un Neanderthal e si vedesse costretto a ripercorrere d'un fiato e in solitudine tutte le tappe evolutive, dalle schegge di selce al wi-fi, dalla pittura rupestre al calcolo frattale.

Molto ha contribuito quella autentica miniera che è internet, solcando siti specializzati, blog e riviste di settore.

Ma una delle mie personalissime "scoperte dell'acqua calda" che più serve a chiarire cosa io intenda è la cadenza/frequenza di pedalata.

L'ho scoperta tutto da solo, in Corsica, nel 2012, in uno di quei giorni pensierosi in cui non parlavo con nessuno da giorni. Ero all'incirca a un terzo del viaggio, e avevo già fatto conoscenza con i tremendi saliscendi della costa occidentale. In una di queste salite, complici i pedali a scatto su cui erano saldamente agganciate le scarpe, in un momentaneo impeto di incazzatura a causa di un malfunzionamento del cambio, che non mi consentiva di alleggerire la marcia ingranata, cominciai a pedalare con più lena senza poter ovviamente variare rapporto. Con mio enorme stupore, la bici balzando in avanti diventò più "leggera". Il magico fenomeno si ripeté a comando, e notai che mantenendo alta la frequenza - o cadenza - di pedalata (vedi più sotto), questa si manteneva leggera. Mi vennero allora in mente tutta una serie di paragoni, legati al concetto di "impulso" e "impulso specifico", grattando il fondo delle mie scalcinate cognizioni di fisica classica e propulsione aerospaziale, residuato degli studi superiori. Ma senza arrivare a tanto mi bastò pensare ai bimbi che colpiscono col bastone il cerchione di una ruota: per avanzare era sufficiente un minimo sforzo applicato con continuità per più tempo, anziché dannarmi l'anima stantuffando lentamente sui pedali, la bici carica e la pendenza in agguato.
E' questo un tipo di consapevolezza che trova una propria misura grazie ai tanto diffusi ciclo-porno-gastro-pseudo-computerini da manubrio. Ecco, il mio misurava anche il numero di giri di pedale al minuto. E quando hai svariate ore da passare sul sellino, in un passaggio dal panorama un pò noioso e ciclisticamente irrilevante (a dire il vero una rarità in Corsica) ti capita di ingannare il tempo osservando l'andamento di quei numerini che sfarfallano sul mini-display a cristalli liquidi, e cominci a sperimentare e a capire come funziona.
In quel caso, riuscii a fotografare il deciso miglioramento una volta oltrepassate le 75 pedalate al minuto, meglio se 80. Mi impegnai quindi a mantenere la cadenza/frequenza di pedalata attorno a quella soglia, con benefici effetti sulla fatica. Fattore determinante per ottenere la pedalata "rotonda" e distribuire il carico su tutti i gruppi muscolari furono i pedali automatici: ancorando il piede potevo anche "tirare" il pedale in alto, in avanti e indietro e non solamente spingerlo verso il basso.

Nelle ore e nei giorni a seguire, affinai la mia personalissima "scoperta dell'acqua calda" (scoprii solo DOPO che si trattava di una tecnica basilare dei ciclisti sportivi), riuscendo a centrare il tanto agognato valore di 80 al minuto e a mantenerlo con una certa naturalezza.

Da allora ho sempre attinto a piene mani dai trucchi e consigli di chi di ciclismo ne sa più di me, senza snobbare inutilmente ambiti ciclistici a me lontani (come quello da strada.... che però sento lontano ancora per poco!!!).
L'applicazione pratica, senza strafare, di quei trucchi, consigli e tecniche così famelicamente ottenuti è andata a tutto beneficio del mio diretto personale benessere, pedalando meglio, più a lungo, con meno dispendio di energie, meno fatica e minori effetti collaterali muscolo-scheletrici.

Ovvero divertendomi di più, potendomi guardare attorno, e amando ancora di più il ciclismo.