lunedì 29 aprile 2013

ALIENI SI DIVENTA


Da piccolo io non praticavo sport, men che meno durante l'adolescenza.


Per me espressioni tipo "Giochi della Gioventù" evocavano un remoto universo a me sconosciuto, governato da regole ignote.

Non ho mai goduto di un esempio trascinante nel mio ambito familiare, e a parte l'odiatissimo calcio il panorama sportivo del mio paese non offriva all'epoca grandi opportunità.

Grande eccezione facevano le passeggiate in bicicletta con mio padre, ma più che in chiave sportiva si ponevano come veicolo di conoscenza e apertura degli orizzonti, nella loro qualità di vagabondaggio a due ruote.

Come diretta conseguenza, ho assistito alla proliferazione degli sportivi avvenuta negli anni '80, pertanto nella mia adolescenza, come all'invasione degli ultracorpi, alla conquista da parte di una razza aliena e superiore, cui guardare con un misto di invidia e distaccata riverenza.

Nella mia piccola natura di particella pulviscolare interstellare, però, ho imparato (moooolto tempo dopo) che la vita riserva opportunità che, prima di essere colte, vanno innanzitutto

  1. concepite nella mente,
  2. poi cercate,
  3. e quindi viste.


Se uno ha le fette di salame davanti agli occhi, o si convince di averle, può elegantemente sfilare accanto a tutte le opportunità del mondo senza neppure accorgersene. Un pò come osservare il mondo circostante indossando permanentemente un binocolo girato al contrario.

E nel mio caso - perlomeno riguardo lo sport e l'attività fisica - ha provveduto la vita, e in particolare  il tipo di vita e lavoro che ho sempre perseguito, sempre voluto e alfine faccio, a buttarmi letteralmente fuori dal mio uovo e costringermi a correre.
Ma non metaforicamente: proprio con scarpette e braghe corte, e CORRERE inseguito dalle urla belluine dell'istruttore.

Se in principio questo stile di vita mi allontanò quasi subito e per un pò di anni dal mio amato Rampichino Cinelli, regalo dei miei genitori per il diploma superiore (in un periodo storico in cui i coetanei anelavano la moto, o addirittura l'auto), dopo neppure troppo tempo mi ha instillato la percezione del corpo, il sentire me stesso, sfociando poi nella dipendenza da endorfine ben nota a chi pratica sport con regolarità.
Ma ancora non avevo - nè avrei avuto ancora per anni sempre a causa della natura girovagante della mia occupazione - la possibilità di rimettere il c**o sul mio amato velocipede come volevo io, in quella mai sopita chiave infantile. Però cominciavo a sviluppare quel senso di "esigenza" legata all'attività fisica, alla scelta del vestiario e dell'equipaggiamento, notando differenze e, in sintesi, entrando in una vera e propria spirale.

Il vero botto, il vero Big Bang primordiale da cui è nato tutto, l'attimo che contiene il tempo e lo spazio prima dell'esplosione vitale, è stato il ritorno a casa, dopo dieci anni. Uno si sistema, comincia a guardarsi attorno, si rappacifica col mondo dopo anni di nomadismo lavorativo, riacquista le proprie radici,

e si ferma del tutto. Si "acchiana", dicono i Napoletani con verbo assai eloquente.

Beh, perlomeno a me è successo così: mi sono fermato del tutto, sforzandomi innaturalmente di prediligere tout court le esigenze della famiglia finalmente in formazione, dopo tanti anni di distanza forzata.

Ma c'era un "però", che lavorava subdolo in profondità.

Non poteva essere come prima, ormai non più.

SAPEVO cosa significasse la fatica rigenerante di un'ora spesa a correre in mezzo ai prati.

CONOSCEVO l'esausta lucidità dopo avere sudato a corpo libero.

ESIGEVO di proseguire per tale strada (è proprio il caso di dirlo) e riappropriarmi della mia bici, e forte di una nuova consapevolezza del mio corpo cominciare a sfruttarla secondo le mie iniziali intenzioni, accantonate per più di una decennio.

Detto in soldoni, viaggiare in bicicletta.

E come tutte le reazioni represse troppo a lungo, anche questa ha avuto uno sviluppo inizialmente controllato e blando, per poi rischiare di incenerire tutto il resto.

Ancora una volta è stata la mia occupazione a darmi la possibilità che cercavo, per averla dapprima concepita, con un repentino cambio di registro, di pagina, di libro, una cesura accaduta nel 2007.

Da allora non ho più smesso di correre, di viaggiare in bici, di sognare altri viaggi appena ne terminava uno, sempre confidando nella comprensione della mia compagna di vita, alla quale cerco sempre di raccontare tutti gli aspetti - anche i più reconditi - della mia malattia (perchè di tale si tratta, volenti o nolenti).

E ripenso spessissimo al periodo della mia infanzia, raccontato all'inizio di questo post, ogni volta che chiudo 10 km di corsa in 55', quando ripenso al CorsicaTour di 715 km in bici, o alla Pavia-Lecco, o quando mi danno del matto perché non ho smesso di fare il pendolare a pedali neppure d'inverno, neppure per un giorno, tanto da auto-soprannominarmi "il pirla del punto triplo (neve, pioggia, nebbia)". Ci ripensavo mentre correvo la Stramilano, ci ripensavo alla RunDonato, e durante quel paio di campestri tra acqua e fango fatte di recente.

Ecco, rivedo gli alieni della mia infanzia, e stando insieme a loro adesso so come ci si sente: perfettamente normali, ma con tanta voglia di vivere e raccontare in più.