martedì 6 novembre 2012

DARWINISMO SUI PEDALI

Ultimamente si fa un gran parlare e scrivere dell'aumentata propensione della gente all'uso della bicicletta come veicolo per gli spostamenti individuali su base quotidiana. Bene.

Personalmente posso aggiungere che un tale fenomeno è chiaramente visibile: oggettivamente si vedono più ciclisti in giro, anche nel tratto extraurbano che percorro io abitualmente, a sud di Milano.

C'è un "però".

L'aumento, per adesso timido, dei pendolari in bicicletta non equivale automaticamente ad un parallelo aumento della consapevolezza di cosa comporti fare il pendolare in bici. Questo perché soffriamo tuttora come Paese il diffuso preconcetto che la bicicletta sia un veicolo di serie Z, un mezzo per il tempo libero, tuttalpiù da adottarsi in situazioni di emergenza come quelle attuali.

Fermo restando che una semplificazione, qui necessaria per meglio illustrare un fenomeno, incontra sempre dei limiti, sulla base della mia esperienza diretta plurisettimanale penso sia possibile operare una distinzione piuttosto netta nel gruppo dei pendolari a pedali:

  • chi di questa pratica ne ha e ne fa un'idea ben precisa, basata su solide convinzioni di ordine anche socio-economico e ambientale, di salute e di stile di vita. Gli appartenenti a questa categoria nutrono una consapevolezza più o meno profonda dei propri diritti e doveri, e dei rischi connessi al pendolarismo a pedali in relazione alla convivenza con le automobili. Ciò si manifesta anche con l'adesione a gruppi, a scambio di informazioni e consigli per migliorare l'esperienza su due ruote si base quotidiana e magari anche nel tempo libero (categoria alla quale mi onoro di appartenere);
  • chi di questa pratica ha fatto di necessità virtù, adattandosi a usare due ruote anziché quattro. La bici viene vissuta come un ripiego necessario ma non sufficiente, in attesa di tempi migliori. L'approccio alla strada degli appartenenti a questa categoria è dimesso, senza pretese, da ospite sgradito (categoria nei confronti della quale nutro simpatia, e per gli appartenenti alla quale mi piacerebbe fosse fatto di più per incentivarli).

La più evidente conseguenza della diversità di atteggiamento di queste due categorie è l'attitudine a soccombere.

Mi spiego meglio.

VISIBILITA':
  • la prima categoria, quella dei "consapevoli", è chiaramente riconoscibile anche a distanza, per il semplice fatto che, avendo bene in mente quali rischi si corrano a pedalare in mezzo alle auto in un Paese che talvolta si fatica a definire civile, si adornano di ogni dispositivo luminoso e riflettente, nel tentativo di ridurre il pericolo di non essere visti;
  • la seconda categoria, quella della "necessità virtù", nulla di tutto ciò. Sono completamente neutri, senza illuminazione né alcun cenno di banda riflettente. Niente. Invisibili. Credo addirittura radar-assorbenti. Se ne stanno a pedalare sul bordo di Statali o Provinciali trafficatissime, all'imbrunire, magari vestiti di scuro, perfettamente invisibili se non illuminati dai fari delle auto o degli sporadici lampioni.
CONDOTTA DEL MEZZO:

  • i "consapevoli", ne discende dal nome della categoria, in virtù della loro informazione hanno imparato dagli errori altrui,  conoscono quali pericoli vi siano nel traffico automobilistico e  pertanto sono prudenti: si muovono nel traffico con cautela e con sicurezza quando è possibile. Un ciclista consapevole tende a "pensare" in anticipo le mosse delle auto avanti a sé, riuscendo con buona probabilità a prevederle e ad adeguarsi in sicurezza. Tende inoltre a comportarsi senza soggezioni nei confronti degli automobilisti: segnala con decisione i cambi di direzione, guarda i guidatori dritti in faccia (non so descrivere quali meravigliosi effetti produca un semplice sguardo di un ciclista diretto in faccia a un guidatore: quasi sempre induce in quest'ultimo per la prima volta la percezione di trovarsi di fronte a un altro essere umano e non un'ombra indistinta a bordo strada);
  • i "virtuosi necessari", in quanto inesperti, tendono a subire gli effetti del traffico anziché prevederli, a scegliere traiettorie non propriamente esenti da rischi e apparendo così incerti. Quale conseguenza tendono - con maggiore probabilità - a causare inchiodate,  colpi di clacson, reazioni spazientite da parte dei guidatori, se non addirittura avvicinandosi a vere e proprie collisioni.
MANUTENZIONE DEL MEZZO:

  • i "consapevoli", sulla base della propria esperienza, sanno che la sicurezza in strada e la propria incolumità dipendono in proporzione diretta dall'efficienza del mezzo a pedali. Ne curano pertanto la manutenzione, con effetti visibilissimi anche da lontano.
  • per le motivazioni sopra esposte, i  "virtuosi necessari" - che sino a pochi giorni prima consideravano la bici come buona solo per le domeniche pomeriggio primaverili (in estate invece no perché fa troppo caldo) - ripescano il "cancello" del nonno dallo sgabuzzino condominiale e, esattamente nello stato in cui si trova, ci montano su e attaccano a pedalare, con effetti visibilissimi anche da lontano anche nel loro caso. E' facile infatti ritrovarsi gente che pedala praticamente sui cerchioni tanto sono sgonfie le ruote, o con i catarifrangenti rotti, o con i fanalini regolarmente accesi ma di una luce asfittica, a causa di una dinamo vecchia. Onde evitare di scivolare nel catastrofico ometto deliberatamente di menzionare l'efficienza dei freni (e occhio che si muore, se i freni non vanno).

Solo il giorno prima di scrivere queste righe, nei miei usuali 50 minuti di bici rincasando da lavoro, ne ho visti quattro di personaggi del genere. Quattro in venti chilometri, fanno uno ogni cinque, un'enormità. Gli ultimi due li ho incocciati ben oltre il tramonto, quando la luce dei miei due faretti LED cominciava ad essere indispensabile e non semplicemente utile, lungo una provinciale ad alto scorrimento con rampe e svincoli. Uno di questi in particolare - a fatica intravisto all'imbrunire - si dirigeva lungo la rampa di accesso ad una statale.

Ora qualche intima considerazione.

Personalmente, essendomi messo in testa di viaggiare anche in inverno, con il buio anticipato della brutta stagione, ho equipaggiato a poco a poco la bici - investendo modiche somme per volta - con tutto quello che serve, e che è descritto nel Codice della Strada, art. 68,  e nel suo Regolamento di Attuazione, art. 124. L'impegno economico è stato spalmato in un arco di tempo di quattro anni, reinvestendo parte del risparmio conseguente dal ridotto uso dell'auto.

Allo stesso tempo ho imparato a fottermene bellamente dei lazzi e frizzi della gente che mi sfotte perché quando vado in giro sembro un albero di Natale. Se ridono di me vuol dire innanzitutto che mi hanno VISTO, e questo semplice fatto in sé riduce la possibilità di essere tirato sotto (a meno di atto deliberato). Eppure la mia bici è semplicemente equipaggiata con quello che prevede la Legge, con le piccole aggiunte di due LED rossi ai mozzi delle ruote e due blu/verdi alle valvole delle camere d'aria: evidentemente vi è una radicata disabitudine a ciò che è "regolamentare".

(A scanso di equivoci desidererei specificare che le persone da me notate in giro al buio senza luci non sono solamente, come si sente e si legge spesso, "gli extracomunitari". E' invece palesemente gente italianissima che ignora di poter morire in modo stupido, peraltro coinvolgendo un automobilista magari in perfetta buona fede. Si muore anche per un urto a 50 all'ora).

Nel mare delle generalizzate lamentele sui ciclisti (che mi fanno incazzare e alle quali regisco sempre), sto sentendo spesso di automobilisti che si lamentano in particolare dei ciclisti "stealth". Onestamente, per quanto mi sforzi di attingere al mio solido bagaglio di argomentazioni non so dare loro torto.
Per converso mi è recentemente capitato di ricevere apprezzamenti per il mio equipaggimento, che evidentemente - in quanto visibilissimo anche da lontano - suscita sicurezza anche negli altri (ovviamente in coloro che non scoppiano a ridere).

Come ciclista convinto la mia principale frustrazione risiede nel fatto che bastano quindici euro, se non addirittura meno, per rendere perfettamente visibile una bici ed il suo ciclista da lontano.

In una società ad altissimo tasso di conflittualità come la nostra, in cui i ciclisti devono sgomitare per farsi vedere e sentire e ascoltare, per affermare la propria presenza sulle strade in alternativa al dogma automobilistico imperante, è davvero un peccato fornire a coloro i quali  avversano una tale "rinascita" il vetusto argomento della "tragica fatalità", del "se l'è andata a cercare", dell'"imprudenza" con cui sempre si coprono le responsabilità di chi, al contempo, guida come se fosse da solo sulle strade.

Ciclisti, ora che la bici ci ha illuminati dentro, illuminiamoci ANCHE FUORI.

QUI trovate il video diffuso in Italia dalla FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) "IL CICLISTA ILLUMINATO", con una "illuminante" descrizione dei rischi associati alla circolazione in caso di scarsa visibilità. Il video originale è di produzione svizzera (e quando mai.....).

venerdì 2 novembre 2012

MUTAZIONI


Apro gli occhi.

Azzurro. Sto fissando il cielo più azzurro che mi ricordi da un bel pezzo in qua.

Sotto le mani una sensazione morbida e fresca di erba.

Il vento risale dalla valle alla mia destra, accarezza gli alberi ottenendone una sottile musica.

Mi concedo il tempo per riprendermi, assaporando un senso alla volta.

Mi riscuoto e mi metto a sedere. Il cartello davanti a me, dall'altra parte della strada più in basso a trenta metri, mi ricorda che sono sul valico del Col de Sorba, a 1.311 metri nel cuore della Corsica. E' talmente malconcio, graffiato, scrostato, pasticciato e vilipeso che le indicazioni originarie si devono quasi intuire.

Sono tre giorni che pedalo in montagna nel centro dell'isola, e mi sono guadagnato un pò di respiro dopo la canicola soffocante della costa occidentale.

Sono arrivato qui salendo da Ghisoni, dove al locale emporio la commessa più racchia e al contempo gentile del cosmo mi ha fatto scoprire un salume locale, rivelatosi alla prova dei fatti una leccornia.

Ed è con quel sapore in bocca e lo stomaco pieno che ripercorro mentalmente la mattinata.

Il risveglio nella piazzola sottostante il rifugio sul Col de Verde, in tenda in mezzo al bosco.

L'aria fina che mi schiaffeggia nonappena metto il naso fuori, e il brulichìo degli altri escursionisti che ripongono tutte le loro cose prima di riprendere la via.

La fila all'unico lavabo, all'aperto e senza acqua calda, in un diffuso vociare transalpino. Atmosfera promiscua e cameratesca.

Il gestore del rifugio che, sporgendosi dalla balconata verso le sottostanti piazzole, caccia un urlo inconfondibile richiamando tutti alla colazione. Pane grezzo cotto a legna, due tipi di marmellata, cioccolata calda.

L'usuale raccolta e impacchettamento di tutte le mie cose, le foto di rito, la partenza in discesa, a freddo e lungo un crinale in ombra, che impone di coprirmi bene, a dispetto dell'ultima decade di un giugno che altrove cuoce le persone a fuoco lento.

I tre quarti d'ora di curve, tornanti e controtornanti ammantati di bosco, senza girare un pedale e senza traccia di vita umana, avvertendo sensibilmente la temperatura crescere al diminuire della quota.

La pausa per la seconda colazione sulla sponda in pietra di un ponticello, e la voglia di un caffé caldo prontamente soddisfatta con fornelletto e caffettiera (la magia dell'essere autonomo in bicicletta).

La spesa all'emporio, il pane appena sfornato, caldo e croccante.

I quasi venti chilometri di salita fino al Col de Sorba, con la visuale aperta verso est, e cime imponenti che osservano senza scomporsi la formica a pedali.

Il "Bon appetit" rivolto agli operai del cantiere stradale che stanno consumando il loro pranzo compitamente seduti in fila a bordo strada, e il loro "Merci" all'unisono.

L'arrivo al valico, schivando una mucca al centro della strada, per niente infastidita.

Il pranzo con pane e salame freschi, osservando il viavai dei turisti da una posizione leggermente sopraelevata.

Godermi lo stupore di chi, soffermandosi per qualche foto o per ammirare il paesaggio, mi vede con la bici e trasecola. Un signore un pò più audace mi dà esplicitamente del pazzo.

E' il penultimo giorno del mio giro in Corsica, e nei prossimi minuti comincerà l'ultima vera discesa, in direzione di Corte.

Ci sono luoghi in cui esiste solo il presente indicativo. Luoghi nei quali tu SEI, STAI, SENTI, VIVI.
Luoghi dapprima immaginati a lungo, e poi raggiunti sudando, concentrando le tue forze, avvertendo lo scorrere della strada sotto le tue ruote, un giorno dopo l’altro, una sosta dopo l’altra, un respiro dopo l’altro. Luoghi magari in culo al mondo, dai quali osservare un deserto, un oceano, o le vette circostanti. E tu stai lì, SEI lì.
Chiudi gli occhi, il tuo spirito affamato e assetato di vita che metabolizza la stanchezza depurando l’esperienza come la pula dal grano, i tuoi sensi si racchiudono e nel buio delle palpebre il tuo essere, il tuo stare, il tuo sentire si comprimono sempre più velocemente verso un punto solo dentro di te, il baricentro del tuo universo, l’asse di rotazione del tuo personalissimo pianeta.

Tutte le strade che hai percorso, i passi che hai fatto, le persone che hai incontrato, i tuoi errori, le emozioni, gli scenari ai quali hai assistito da solo - con la certezza che non avrai mai aggettivi, parole o immagini per poterli raccontare, e allora te li tieni dentro te, dolci e densi – tutto ciò che hai vissuto viene attratto  in silenzioso tumulto diventando quel solo, infinitesimo punto - adesso è visibile, lo senti, è lo scrigno delle tue motivazioni - e acquista un nuovo come, un nuovo perché.

E quando tutto è concentrato in quel solo punto, come un'ineludibile domanda, allora, dopo un istante, questo tutto fornisce la sua risposta, ed esplode.

Riapri gli occhi bevendo sorsate d’aria come dopo un’apnea, i tuoi sensi acuiti da questa tua nuova consapevolezza, ogni tua azione è più piena, ogni nuovo pensiero più maturo.

Mi sento in alto, non solo dal punto di vista della quota geografica.

Faccio il pieno di quest'aria, di questa luce, di questi odori, di queste sensazioni, qui e ora, ma allo stesso tempo per la prima volta scaturisce il pensiero di tornare a casa.

Nel momento in cui salgo in bici per riprendere la strada so di non essere la stessa persona che da quella stessa bici è scesa un'ora fa.